Redditometro “bocciato” dal Tribunale di Pozzuoli

05.06.2013 22:41

 

Per accertare se un cittadino è evasore fiscale, lo Stato è autorizzato a sapere tutto di lui e della sua famiglia attraverso il controllo di ogni spesa effettuata?

Per il governo uscente la risposta è sì, ma per la giustizia qualsiasi attività della pubblica amministrazione non può mai violare il rispetto della privacy di ogni contribuente.

Ed è per questo motivo che giovedì, dal Tribunale di Pozzuoli, è stata emessa un’ordinanza (già esecutiva) destinata ad avere clamorose ripercussioni a livello nazionale sulla materia tributaria.

Il giudice unico Antonio Lepre ha infatti accolto il ricorso cautelare presentato il 12 febbraio (nei termini d’urgenza previsti dall’ex articolo 700 del codice di procedura civile) da  F.G., un 68enne pensionato puteolano residente a Quarto.

Attraverso il suo legale di fiducia (l’avvocato civilista Roberto Buonanno), il cittadino in questione ha chiesto al Tribunale di  intimare all’Agenzia delle Entrate di non essere sottoposto ad alcun accertamento fiscale attraverso lo strumento del “redditometro”, in quanto  “vista l’ampiezza dei dati previsti dal regolamento del decreto ministeriale numero 65468 del 24 dicembre 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero 3 del 4 gennaio 2013, l’Agenzia delle Entrate verrebbe a conoscenza di ogni singolo aspetto della propria vita quotidiana, ledendo non già la sola riservatezza ma la stessa libertà individuale come potenzialità di autodeterminazione” e aggiungendo che “in particolare, l’assenza di limiti di tempo consentirebbe all’Agenzia delle Entrate di costituire un archivio definitivo e periodicamente aggiornato di ogni singola scelta del contribuente”.

Una materia dunque delicatissima, su cui finora nessun giudice era stato chiamato a decidere, ma che aveva già animato il dibattito nell’opinione pubblica, giacchè il “redditometro” (che entrerà in vigore dal mese prossimo con i primi controlli sulle dichiarazioni dei redditi percepiti nel 2009) analizza tutte le spese del contribuente e, sulla base di alcuni parametri Istat, stabilisce se in base al reddito dichiarato e a quello “complessivo accertabile”  desunto dall’Agenzia dell’Entrate, le spese sostenute siano coerenti con il reddito: in caso contrario, spetterà al contribuente dimostrare di non essere un evasore.  

Ebbene, il giudice Antonio Lepre, con un’ordinanza di nove pagine, non solo ha dato pienamente ragione a questo cittadino (ordinando all’Agenzia delle Entrate di “non intraprendere” nei suoi confronti “alcuna ricognizione, archiviazione o comunque attività di conoscenza e utilizzo dei dati” relativi all’articolo di legge che riguarda la rettifica della dichiarazione dei redditi, di “cessare, ove iniziata, ogni attività di accesso, analisi, raccolta dati di ogni genere relativi alla posizione del ricorrente” e di “comunicare formalmente” al cittadino in questione “se è in atto un’attività di raccolta dati nei suoi confronti ai fini dell’applicazione del redditometro e, in caso positivo, di distruggere tutti i relativi archivi previa specifica informazione alla parte ricorrente”) ma è anche entrato nel merito del “redditometro”, stabilendo che questo strumento di verifica fiscale  è illegittimo, crea potenziali discriminazioni tra contribuenti e, per giunta, non è nemmeno utile a raggiungere l’obiettivo per il quale è stato creato.

Una “bocciatura” in piena regola, dunque.

Le motivazioni dell’ordinanza (che, comunque, benchè abbia già efficacia, potrà ancora essere impugnata dall’Avvocatura dello Stato, controparte del cittadino nel procedimento) sono davvero molto interessanti e, oltre a rappresentare un precedente giurisprudenziale di rilevantissima portata (basti pensare che, da oggi in poi, tutti i contribuenti italiani, sulla base di questa decisione, possono presentare un ricorso del genere con ottime possibilità di successo) potrebbero avere anche importanti ripercussioni legislative sull’eventuale modifica o addirittura abolizione di questa modalità di verifica fiscale.

Il giudice Lepre, nel suo provvedimento, si richiama infatti innanzitutto agli articoli 7 e 8 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea <>, sottolineando che   <>.

<–prosegue ancora il giudice del Tribunale di Pozzuoli- è il principio di proporzionalità, che vieta alla Pubblica Amministrazione di sacrificare la sfera giuridica dei privati, al di là di quanto sia strettamente necessario per il raggiungimento dell’interesse generale in concreto perseguito e che quindi vi deve essere, nell’azione amministrativa, proporzione tra mezzi e fini perseguiti>>.

Poi, il giudice entra nel merito del decreto ministeriale che ha istituito il “redditometro”.

< –recita l’ordinanza- è non solo illegittimo ma radicalmente nullo ai sensi dell’articolo 21 septies della legge 241/1990 (…) sottoponendo indirettamente (…) a controllo anche le spese riferibili a soggetti diversi dal contribuente e per il solo fatto di essere appartenenti al medesimo nucleo familiare (…);  viola gli articoli 2 e 13 della Costituzione, gli articoli 1,7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonchè  l’articolo 38 del dpr 600/1973 poiché prevede la raccolta e la conservazione (…) di tutte le spese poste in essere dal soggetto-famiglia, che, viene, quindi, definitivamente privato del diritto di avere una vita privata, di poter gestire autonomamente il proprio denaro e le proprie risorse, ad essere quindi libero nelle proprie determinazioni senza dover essere sottoposto all’invadenza del potere esecutivo e senza dover dare spiegazioni dell’utilizzo della propria autonomia e senza dover subire intrusioni anche su aspetti delicatissimi della vita privata, quali quelli relativi alla spesa farmaceutica, al mantenimento e  all’educazione impartita alla prole e alla propria vita sessuale; soppressione definitiva di ogni privatezza e dignità riguardante, peraltro, non solo il singolo contribuente ma in realtà tutti i componenti di quel nucleo familiare. Ed infatti, appena si legge la tabella A del decreto ministeriale, si deve prendere atto che l’autorità governativa, a titolo meramente esemplificativo, saprà, di ciascuna famiglia, quante e quali calzature, pantaloni, biancheria intima eccetera utilizzano i suoi componenti; se questi ultimi preferiscono il vino, la birra o analcolici e di che tipo; quanta acqua si utilizza, se sono state eseguite riparazioni di manutenzione ordinaria relative alla rottura della caldaia o del fornello; quanta energia elettrica, gas è stato utilizzato; quali elettrodomestici, arredi sono stati comprati o comunque usati con relative spese di gestione; quali e quanta “biancheria, detersivi, pentole, lavanderia e riparazioni” consuma questa o quella famiglia; addirittura, in manifesta violazione della dignità umana di cui all’articolo 1 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, di quali e quanti “medicinali e visite mediche” ha necessitato il nucleo familiare e quindi i suoi singoli componenti; quale carburante, lubrificante si utilizza per la propria auto; quanti tram, autobus, taxi e trasporti sono utilizzati; e, in violazione di ogni diritto dei minori, anche quali libri scolastici e spese assimilabili sono state sopportate (ad esempio, quindi, se quella famiglia necessita di materiale didattico specifico per il proprio figlio affetto da una certa patologia, l’Agenzia delle Entrate lo verrà a sapere) e così egualmente per i giochi e i giocattoli; in violazione degli articoli 18 e 21 della Costituzione, l’autorità governativa saprà quali associazioni culturali, quali  manifestazioni culturali sono preferite dal nucleo familiare (…). L’Agenzia delle Entrate può considerare in ogni caso anche tutte le altre spese non elencate nella tabella A: norma di chiusura che esplicita l’auto attribuzione da parte dell’Esecutivo del potere di raccogliere e immagazzinare ogni singolo dettaglio, dal più insignificante al più sensibile, della vita di ciascun componente di un nucleo familiare>>.

Non solo: secondo il giudice Lepre, all’Agenzia delle Entrate, attraverso il “redditometro”, viene conferito <(…). Infatti, è previsto dal regolamento ministeriale un potere di acquisizione, archiviazione e utilizzo di dati di ogni genere, che nulla ha a che vedere con la mera ispezione, rappresentando un potere di cui non gode persino l’autorità giudiziaria penale, che pure è destinataria di potere non di controllo generalizzato e indiscriminato, ma sempre con riferimento ad indagini riferite a specifici reati ipotizzati>>.

Ancora, nella stessa ordinanza si legge che il “redditometro”  <> e  <>.

E non è certo finita qui.

Per il giudice Lepre, il “redditometro” non è nemmeno utile allo scopo per cui è stato creato e, addirittura, favorirebbe i benestanti a discapito di chi ha minori disponibilità economiche.

Questo sistema di accertamento fiscale, si legge infatti nell’ordinanza,   <>.

Il giudice Lepre sottolinea anche che il decreto ministeriale che ha istituito il “redditometro” <>.

Per questo motivo, secondo il giudice Lepre, il decreto ministeriale che ha istituito il “redditometro”  <>.

E, infine, il giudice Lepre sottolinea anche un altro aspetto molto delicato della vicenda.

E cioè il ruolo dell’Agenzia delle Entrate nell’ambito di questo strumento di verifica fiscale.

Secondo il magistrato firmatario dell’ordinanza, infatti, il “redditometro” <<è in contrasto con i principi fondamentali di imparzialità, buon andamento dell’amministrazione, nonchè (…) dei principi di leale collaborazione procedimentale (…) in quanto il diritto al contraddittorio assicurato al contribuente è in gran parte svuotato di effettività>> perché  <(…). E’ evidente che l’accertamento presuntivo attraverso il redditometro poiché non più ancorato a dati certi come nella vecchia disciplina (…) porta con sé il rischio che l’Agenzia delle Entrate, anziché intensificare i controlli sulla realtà ai fini della ricostruzione reale dei redditi, tenda invece a privilegiare l’accertamento attraverso il redditometro: strumento meramente burocratico, meno dispendioso in tempo di costi e di energia e soprattutto strutturato in modo tale da rendere non sempre praticabile un reale ed efficace contraddittorio, tanto da escludere (…) per certi aspetti e in una certa misura, la stessa possibilità di una prova liberatoria>>.

La conclusione del giudice Lepre è che il “redditometro” <>.

Si tratta dunque di un’ordinanza che analizza a 360° tutte le sfaccettature del decreto ministeriale impugnato dal cittadino flegreo che si è visto riconosciute le proprie ragioni.

< –commenta l’avvocato Roberto Buonanno, legale di fiducia del firmatario del ricorso- Chi pensa che una società aperta, liberale e democratica possa essere anche quella in cui si può avere la visibilità assoluta di ciò che un cittadino fa, si guadagna e spende, giustificando questa visibilità sul semplicistico rilievo che nulla avrebbe da nascondere il cittadino che non ha commesso nulla di male, si trova, a mio parere, in una condizione di torto assoluto: queste opinioni e concezioni infatti appartengono solamente ai sistemi autoritari e polizieschi, dove le amministrazioni non solo spesso operano in segreto ma pure predispongono archivi e dossier. La visibilità totale delle attività e dei comportamenti di tutti i cittadini non è affatto il simbolo di una società aperta, liberale e democratica, ma solo delle peggiori forme di totalitarismo. Forme di governo che cancellano la privacy sono quelle che risolvono l’uomo in un cittadino e che, in nome dell’eguaglianza e della giustizia sociale, erodono gravemente le basi delle libertà e dei diritti individuali>>.

Da Pozzuoli, dunque,  nasce un vero e proprio baluardo a difesa della libertà dei cittadini come diritto preminente rispetto a qualsiasi prerogativa della pubblica amministrazione.

Al Governo che nascerà sulla base del voto che esprimeremo tra domani e lunedì, spetterà il compito di dimostrare a tutti i contribuenti, con atti concreti, se lo Stato, per stanare gli evasori fiscali, vuole cambiare rotta oppure ha davvero intenzione di andare avanti a colpi di violazione della privacy.

(da “Il Corriere Flegreo” del 23 febbraio 2013)